AMT-130 usa un virus reso innocuo per trasportare nelle cellule una porzione di codice genetico (mRNA).
Può frenare il decorso della patologia fino al 75%
Roma, 9 ottobre. Una nuova frontiera si apre nella lotta alla Malattia di Huntington. I risultati preliminari di uno studio clinico di fase I/II hanno infatti mostrato che AMT-130, una terapia genica sperimentale sviluppata dalla uniQure biopharma è in grado di rallentare la progressione della malattia tra il 60 e il 75% in tre anni, oltre a dimostrarsi sicura ed efficace.
Secondo l’Osservatorio Malattie Rare – OMAR – in Italia, si stima che la Malattia di Huntington interessi circa 6-7.000 persone, mentre gli individui attualmente a rischio di ammalarsi sarebbero 30-40.000. Si tratta di una patologia rara, ereditaria e progressiva che comporta la comparsa di movimenti involontari e un progressivo declino cognitivo. Ad oggi non esistono farmaci capaci di modificarne il decorso e la prognosi resta generalmente infausta. Si tratta di una malattia ereditaria che si manifesta con carenze cognitive intorno ai 40 anni, accompagnati da problemi di coordinazione nei movimenti.
“La malattia di Huntington è una patologia neurodegnerativa rara, ereditaria e progressiva, che causa movimenti involontari e declino cognitivo, lasciando una aspettativa di vita di 20 anni dopo la comparsa dei primi sintomi” spiega Lorenzo Fontanelli, neurologo SNO – Società delle Neuroscienze Ospedaliere. Secondo l’esperto, la vera novità sta nel meccanismo d’azione di AMT-130.
“L’AMT-130 è una terapia innovativa che utilizza un virus innocuo per trasportare all’interno delle cellule una porzione di codice genetico (mRNA) disegnato specificatamente per bloccare la porzione alterata del gene che causa la malattia. Se i risultati venissero confermati da ulteriori studi, AMT-130 potrebbe essere la prima terapia al mondo in grado di rallentare il decorso della Malattia di Huntington.”
Questi dati, seppur preliminari, aprono scenari di grande speranza per i pazienti e le loro famiglie, che fino ad oggi hanno dovuto convivere con una malattia priva di cure realmente efficaci. Allo stesso tempo, i ricercatori sottolineano la necessità di ulteriori studi clinici su larga scala per confermare definitivamente l’efficacia e la sicurezza della nuova terapia.