Enorme il peso sui caregiver, ma esperienze concrete mostrano i benefici della collaborazione
Da Imperia e da Melegnano (MI) due casi di eccellenza nella presa in carico condivisa
19 settembre. Si celebra il 21 settembre in tutto il mondo la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, istituita dall’OMS e dall’Alzheimer’s Disease International nel 1994. Una ricorrenza che richiama l’attenzione sulla forma più diffusa di demenza – la malattia di Alzheimer – e sulla necessità di affrontarne con decisione le ricadute sanitarie, sociali ed economiche.
In Italia si stima che 1,6 milioni di persone vivano con una demenza, di cui circa 600.000 con diagnosi di Alzheimer. A queste si aggiungono oltre 900.000 persone con decadimento cognitivo lieve, condizioni che comportano un impatto enorme sull’intero sistema Paese, con una spesa stimata dall’Istituto Superiore di Sanità fino a 23 miliardi di euro l’anno, costi che ricadono principalmente sulle famiglie dei malati.
A fronte di questi dati così significativi, la SNO – Scienze Neurologiche Ospedaliere (società scientifica di rilevanza nazionale attiva fin dal 1960, che accoglie i medici che operano in ambito neurologico, neurochirurgico, neuroradiologico e delle Neuroscienze in generale), pone l’accento sull’importanza di un approccio multidisciplinare e multiprofessionale per affrontare la malattia, coinvolgendo dunque non solo i medici di diverse specialità, ma anche le altre professionalità come psicologi, infermieri, assistenti sociali. Grazie all’esperienza diretta maturata dai soci nelle numerose strutture ospedaliere su tutto il territorio italiano, emerge che la presa in carico di un paziente da parte di equipe con diverse professionalità, permette migliori prospettive per il paziente e di conseguenza un alleggerimento dell’onere per i caregivers.
«Di fronte a una patologia complessa come l’Alzheimer, la presa in carico globale del paziente e della sua famiglia non può prescindere da un approccio multidisciplinare e multiprofessionale» sottolinea Pasquale Palumbo – Presidente SNO «Solo il lavoro congiunto di neurologi, geriatri, psichiatri, psicologi, infermieri e assistenti sociali consente di garantire continuità assistenziale e qualità di vita, trasformando la diagnosi in un percorso condiviso e sostenibile».
Se da un lato la ricerca farmaceutica apre spiragli di speranza con l’arrivo di nuove terapie, dall’altro appare sempre più evidente l’importanza di costruire percorsi assistenziali integrati, capaci di accompagnare il paziente e la sua famiglia lungo tutto il decorso della malattia.
Un esempio concreto arriva dalla Liguria, dove il Centro Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) dell’ASL 1 Imperiese ha messo a punto un modello innovativo di “CDCD diffuso”.
«Abbiamo strutturato l’organizzazione dell’assistenza – spiega la dottoressa Alessia Lanari, della SNO e responsabile del CDCD – in modo da garantire una presa in carico condivisa e continuativa tra specialisti, riducendo al minimo gli spostamenti dei pazienti e valorizzando la medicina di prossimità».
Il gruppo di lavoro comprende neurologi, geriatri, psichiatri, neuropsicologi, psicologi, assistenti sociali e infermieri referenti. Oltre agli ambulatori attivi negli ospedali di Imperia e Sanremo, il modello prevede punti territoriali presso le Case di Comunità, visite domiciliari per i casi complessi e una stretta collaborazione con infermieri di famiglia e comunità (IFeC) e medici di medicina generale.
La rete di supporto non riguarda solo i pazienti ma anche i caregiver, grazie a gruppi di auto mutuo aiuto, sportelli di ascolto dedicati e cicli di formazione continua rivolti al personale delle strutture residenziali. Una strategia che ha favorito anche la collaborazione con il terzo settore e con la Rete Demenze Ligure, in sinergia con l’Istituto Superiore di Sanità.
«Il nostro obiettivo – conclude Lanari – è una presa in carico globale, socio-sanitaria, che accompagni pazienti e famiglie in ogni fase della malattia. È un lavoro corale che si nutre di collaborazione tra istituzioni, operatori sanitari e comunità locali».
Analogo il caso della ASST Melegnano-Martesana (ATS) Milano dove è stato formalizzato un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) specifico, strutturato per integrare il CDCD con il territorio coinvolgendo le strutture esterne come i medici di medicina generale, IFeC, assistenti sociali e familiari. Nell’ambito di questo percorso è stata lanciata una vera e propria scuola di formazione per caregiver ed operatori denominata “Demenza e competenza”, volta a istruire su aspetti assistenziali, relazionali, ambientali, normativi e sociali.
«Forniamo circa 500 prestazioni all’anno tra i pazienti affetti da demenza in tutte le sue fasi, – dice Carla Zanferrari della SNO e direttore Unità Operativa di Neurologia – Stroke Unit della ASST Melegnano-Martesana ATS Milano – abbiamo iniziato 3 anni fa il corso di formazione “Demenze e competenza”, che insegna a come relazionarsi con il malato, come gestire l’aggressività, come riconoscere i sintomi, ma che ha anche un risvolto pratico: a cosa si ha diritto in base alle normative, quali altri centri di aiuto sono disponibili nell’area, ecc. Questo ha contribuito a rendere più efficace il nostro lavoro, ha contribuito ad alleggerire il carico sulla struttura sanitaria razionalizzando il percorso di cura del paziente, ma siamo anche riusciti a fornire un supporto costante (pratico e psicologico) alle famiglie grazie allo sportello dedicato».
Nell’ottica di modulare il percorso di cura per i pazienti infatti è stato attivato uno sportello telefonico e via mail destinato ai caregiver curato dal personale del CDCD. Solo nel 2024 ci sono stati 2327 contatti, 955 via mail e 1372 via telefono. Queste le richieste più importanti:
Incoraggianti i risultati: nel 60% dei casi lo sportello è riuscito a soddisfare il bisogno alleggerendo il carico di lavoro per il CDCD, nel restante 40% c’è stata la necessità di un ulteriore passaggio (per esempio con il medico di medicina generale), che poi ha portato a una risoluzione del problema.
La Giornata Mondiale dell’Alzheimer diventa così l’occasione non solo per ricordare i numeri della malattia, ma per dare visibilità a quei modelli di cura che possono rappresentare una risposta concreta e replicabile a livello nazionale.