In ricordo del Prof. Giovanni Alemà

Prof AlemàGiovanni Alemà, che è scomparso, un po’ alla chetichella, alla vigilia delle ferie estive il 17 luglio scorso, è stato senza alcun dubbio uno dei neurologi italiani più noti. La sua lunga vita e la sua vitalità straordinaria, mantenuta integra fino a tarda età, gli hanno consentito di attraversare da protagonista gli ultimi sessant’anni della scena neurologica italiana.

Uomo di vasta cultura e di carattere esuberante, ha saputo sempre contraddistinguersi per la sua originalità di pensiero, per la sua indipendenza, ma anche per un’attività particolarmente incisiva sulla vita societaria neurologica di questi anni.

E’ stato uno dei fondatori della SNO di cui, unico esempio, è stato presidente per ben due volte: la prima in epoca pionieristica (1965-71) e, successivamente, negli anni di sviluppo più maturo della società (1981-83). La sua presenza critica ha continuato a manifestarsi anche negli ultimi anni, quando partecipava a tutti i direttivi come editore della Rivista di Neurobiologia (organo ufficiale della Società). I suoi interventi talora polemici e “spiazzanti” costituivano un leitmotiv costante di quelle riunioni, animando spesso discussioni anche vivaci a volte rese involontariamente comiche dalla sua sordità, che lo portava talora a fraintendimenti. Favoleggiava scherzosamente su di una origine “genetica” della stessa che faceva risalire alle origini basche e associava alla fibrillazione atriale, da cui era affetto da tempi immemorabili, in una sindrome probabilmente inventata, che spesso citava allo scopo di stupire l’uditore. L’aspetto ironico e dissacrante era una costante della sua modalità di comunicare.

La sua partecipazione alla vita societaria neurologica italiana era evidente anche nella Società consorella (e talora rivale), la SIN, di cui era stato vicepresidente e tesoriere nei primi anni 70, nonché animatore di alcune commissioni, tra cui quella relativa alla “Didattica Neurologica negli Ospedali” significativamente anticipatrice di sviluppi che tutt’oggi tardano a realizzarsi.
La SIN lo considerava lo “storico” della Neurologia italiana e gli affidò, in più di un’ occasione, questo ruolo in ambito congressuale e in un capitolo del libro commemorativo del centenario della Società. Tutti siamo stati “incantati” dalle sue vivaci e documentatissime relazioni sui personaggi del ‘900 neurologico in cui disegnava genogramma con capo scuola e affiliati di cui distingueva acutamente l’importanza scientifica e didattica o politica. Aveva una memoria mitica associata ad una curiosità proverbiale che lo portava ad interessarsi di tutti quelli che si occupavano di neurologia approfondendo i loro rapporti personali, collaborativi e scientifici con gli altri membri della propria scuola.

Proveniva dalla Clinica Neurologica di Roma di Gozzano e Mingazzini e portava con se la passione per la semeiotica raffinata; gli interessava molto l’iter della diagnosi, che dal suo punto di vista era prevalentemente clinica, giocata su una profonda cultura, sia medica che umanistica, intrecciata con la sua tipica curiosità, libertà da schemi prefissati, “inventiva” e, anche, “intuizione”. Non si fidava troppo della diagnostica strumentale di cui era comunque profondo e interessato conoscitore e che, profeticamente, considerava responsabile di appiattimento culturale nelle nuove generazioni.

Quando arrivò a Genova come primario del Reparto Ospedaliero del San Martino nel 1960, questo atteggiamento culturale dovette un po’ cozzare con l’ impostazione più incline al laboratorio e alla “macchina diagnostica” che animava allora (in modo più “moderno”) la Clinica Neurologica di Cornelio Fazio. Anche il suo stile di vita era probabilmente molto diverso da quello del cattedratico, figlio di un senatore Giolittiano e personaggio dalle relazioni sociali e politiche molto ricche e varie.
A Genova Alemà passava buona parte della sua vita in ospedale dove anche dormiva in un locale che ora fa parte del Servizio di Neurofisiopatologia. Non era raro incontrarlo, come raccontava Gianniotti (che fu presidente SNO negli anni 1985-87), allora assistente della Divisione Neurologica, ad ogni ora del giorno in corsia ed essere chiamati a consulto in piena notte su qualche caso clinico “interessante” in quel momento ricoverato in reparto.

Era molto curioso sul piano scientifico e piuttosto eclettico e i suoi interessi e la sua produzione scientifica spaziavano dagli studi sull’effetto della somministrazione intra-carotidea di amytal sodico alle encefalopatie spongiformi, alla malattia di Behçet (famoso un suo articolo con Amico Bignami pubblicato in inglese su di un libro dedicato a questa patologia nel 1966) e ancora alle “Mielopatie spondiloartosiche e vascolari” su cui fu relatore al Congresso SIN di Roma nel 1967.
Ma i suoi interessi psichiatrici lo portarono anche ad interessarsi delle “fenotiazine nelle psicosi” e a partecipare all’organizzazione, a Genova , di una task force contro il suicidio.
Ha sempre amato e seguito i giovani neurologi, si è sempre accostato all’esposizione dei poster dei congressi con curiosità, dedicando tempo alla loro lettura con modestia e cercando di commentarli con gli autori. E’ stato un grande scopritore di “giovani neurologi” con capacità scientifiche, che cercava di far crescere e valorizzare e molti di loro hanno raggiunto posizioni di merito. I suoi diretti allievi lo ricordano come un maestro severo, esigente e meritocratico, ma anche generoso, brillante e stimolante. Tutti pensano di dovergli molto, sia per gli insegnamenti professionali, che per l’esempio di pulizia, onestà e coerenza morale. Eccezionale è da ritenere anche la sua capacità di saper leggere nelle persone, inquadrarne il carattere, le capacità, ed a volte anche i limiti e gli aspetti meno piacevoli, che talora non esitava a commentare apertamente; era inoltre un brillante parlatore con un gusto particolare per i “giochi di parole” (diceva “ mi vengono spontanei, così, senza che me ne accorga”)
Non esitava a confrontarsi con i più giovani anche sul piano della resistenza fisica come quando ballò tutta una serata, in discoteca a Gabicce Mare, in occasione del Congresso SIN di Rimini del 2001, già ultraottantenne.
Con le belle signore è sempre stato galante e amava corteggiarle e farsi corteggiare, anche sotto lo sguardo clemente dell’amata moglie Iaia.
La sua energia era proverbiale e la sua vitalità, anche negli ultimi anni, ormai costretto all’immobilità, si manifestava in telefonate estemporanee, talora interminabili, fatte agli amici e colleghi, a cui prodigava consigli ed incitamenti, senza mai lamentarsi della sua condizione.

Dal 1965 divenne primario della Neurologia del San Camillo a Roma, succedendo a Spaccarelli e Bini e conscio dell’importanza di dover dirigere il “Lancisi”, una delle strutture neurologiche migliori d’Italia inserita in uno degli ospedali più grandi d’Italia. Anche qui ha portato le sue principali caratteristiche: interesse per i suoi collaboratori che ha stimolato ed aiutato ad intraprendere studi settoriali in Italia e all’estero (Giacanelli per la miologia, Blundo per la neuropsicologia, Galgani e Di Battista per la sclerosi multipla, clinica e etica medica Piazza, Corsi e Tarquini) ed a tutti a migliorare sempre più la propria capacità diagnostica e l’interesse per la Neurologia e il mondo neurologico; interesse per i giovani neurologi che da un lato paternamente vessava perchè studiassero, pubblicassero e compilassero correttamente anamnesi ed esame obiettivo ma che poi portava ai congressi addossandosi le spese e tutelandoli nelle prime esperienze comunicative; interesse scientifico con pubblicazioni e relazioni prevalentemente su patologie rare (Creutzfeldt Jakob, Behçet, encefaliti), su casi neuropatologici e sulla sclerosi multipla, cui interessava non solo l’aspetto clinico ma anche la relazione con i pazienti, tanto che fu uno dei fondatori dell’associazione di malati AISM. I suoi “mercoledì”, riunione pomeridiana per la discussione dei casi in reparto, divennero in breve un evento cui partecipavano universitari e ospedalieri laziali; qui Alemà, partendo da singoli casi, ripercorreva la storia di neurologia, neuroanatomia, neuropatologia, neurofisiologia, fino ad avere una immagine a tutto tondo della patologia di cui si trattava. Questa agape costruttiva e profonda, mai superficiale, è stata poi continuata con lo stesso spirito dal suo successore Piazza. Altrettanto istruttive erano le sue proverbiali, quasi quotidiane, liti, sempre pubbliche e sempre per casi clinici particolari, con Patricolo, neurochirurgo estroverso e geniale come lui, o col neuroradiologo Baciocco.
Questo piacere irrefrenabile per l’attività didattica ha dato origine, nel 1991, alle riunioni dei neurologi laziali che 4 volte l’anno Alemà organizzava a Roma e nel Lazio, compilando e consegnando, ormai in pensione, personalmente gli inviti e contattando direttamente i neurologi per trovare i casi più significativi da presentare; ogni singola presentazione era da lui commentata sia scientificamente che, talora, con critiche aspre (come era solito dire da “toscanaccio”) quando voleva esprimere dissenso nei riguardi di qualche cattedratico o avvertiva la sensazione che l’interesse per il marketing prevalesse sull’interesse scientifico (sono rimaste famose le sue critiche aspre sull’uso indiscriminato dei triptani e degli interferoni). D’altronde amante del paradosso e del calembour e sempre scherzoso anche nelle situazioni “ufficiali”, prendeva in contropiede l’interlocutore, che spesso, se non aveva con lui famigliarità, rimaneva perplesso, quasi stordito, dal suo eloquio fluente, colto ed elaborato. E’ comunque da dire che ha sempre usato i nuovi farmaci, anche per l’emicrania e la sclerosi multipla, dopo un attento esame della letteratura e sempre pretendendo una diagnosi precisa e un’accurata analisi clinica della persona in esame.
Quelle riunioni furono un fucina per i giovani neurologi romani che si preparavano presentando i casi cinici e poi ascoltando le accalorate discussioni, al limite del litigio, tra Alemà, Fieschi e Manfredi; un mondo di elevato spessore culturale e di ineccepibile interesse per la scienza.

Anche la sua attività libero professionale, molto estesa dal momento che ormai era considerato uno dei maggiori neurologi nel panorama italiano, era stimolo per essere sempre all’avanguardia sulle nuove terapie e nuove tecniche diagnostiche.

In pensione dal 1987 Alemà è sempre rimasto al centro della vita neurologica nazionale (SNO, Rivista di Neurobiologia, partecipazione costante, finché ha potuto, ai congressi SIN e SNO, contatto quasi quotidiano con un gran numero di neurologi italiani) e della vita neurologica romana di cui è stato sicuramente il catalizzatore di attività comuni, di aggregatore tra ospedali e università, interlocutore critico e attento ma anche affettuoso con tutti; era difficile dire quanto con lui il rapporto fosse di pura condivisione di un interesse culturale dominante (la neurologia) o quanto fosse anche un rapporto di amicizia (Ada Francia ne è testimone) per cui si iniziava parlando di un disturbo neurologico particolare e si finiva parlando dei figli o di un rapporto difficile con un collega. Mancheranno ai romani i suoi compleanni organizzati dalla sua affettuosa compagna di vita e di lavoro Iaia, una lunga tavolata che riempiva tutta casa in cui si incontravano neurologi vecchi, anziani, giovani e giovanissimi e con tutti lui parlava, discuteva, scherzava.
L’ictus devastante che ha costretto dal 2009 Alemà in carrozzina non ha fermato questa sua attività nè l’interesse per la neurologia tanto da far presentare da Giacanelli, in una delle riunioni stagionali, il “suo caso clinico” dal titolo “Considerazioni cliniche su un caso di sindrome parietale destra: comparazione con le sindromi di Dejerine-Roussy (talamica) e Mouzon-Dejerine (parietale)”.

Giovanni Alemà è stato giovane per la maggior parte della sua lunga vita per l’intensità e l’ardore riversati nella neurologia, sua prima e grande passione, per l’irrefrenabile curiosità per il nuovo e per il mondo e per la capacità di essere sempre diretto e lineare nei giudizi, senza mascheramenti o compromessi o limiti nell’esprimerlo, assumendosi sempre di prima persona le conseguenze.

Un grande rimpianto per il venir meno di un esempio di umanità così ricco e complesso, di un amico e maestro.


Articolo a cura di

Donata Guidetti
Gianandrea Ottonello
Giancarlo Di Battista